ADELPHI

BOMPIANI EDITORE



EINAUDI

FELTRINELLI EDITORE

GALAAD EDIZIONI

GARZANTI

GIUNTI EDITORE

LA NAVE DI TESEO

LAVIERI EDIZIONI

LIETOCOLLE

MARSILIO EDITORI

MONDADORI

SALERNO EDITRICE

SAMUELE EDITORE

 Ho visto ardere la vita



Prologo di Luis Alberto de Cuenca


Edizione bilingue (spagnolo e italiano)

Cura, epilogo e traduzione di Marcela Filippi Plaza


in copertina: particolare del grande affresco dionisiaco

della Villa dei Misteri, Pompei (Napoli)

con il contributo del fotografo argentino Jorge Blanco


Prezzo: 14 €


Collana SolMar


TALOS EDIZIONI

© Copyright 2021



Un estratto dal prologo 


Nel 1941 Agustín de Foxá, Conte di Foxá, pubblicò un breve e bellissimo libro di versi intitolato Poemas a Italia. La prima edizione costituisce oggi una rarità difficile da trovare. Ottant'anni dopo, un poeta estremegno nato a Cáceres nel 1955, Santos Domínguez Ramos, pubblica in Italia un'edizione bilingue di quattordici splendide poesie, per lo più ecfrastiche, intitolate Ho visto ardere la vita, che, in una stupenda traduzione di Marcela Filippi, rende il suo particolare tributo di ammirazione alla cultura del luogo.

Un luogo dove, tra l'altro, si è prodotta la cosiddetta «sindrome di Stendhal», che è un po' come sentirsi storditi, colpiti e sopraffatti dinanzi a tanto accumulo di bellezza. Com'è accaduto all'autore de La Certosa di Parma quando stava visitando, nel 1817, la Basilica di Santa Croce a Firenze (ma gli sarebbe potuto accadere dinanzi a qualsiasi altro monumento italiano, poiché la bellezza non manca nel paese di Dante e di Petrarca, di D'Annunzio e di Marinetti).


Luis Alberto Cuenca 






Un estratto dal poema


MATERIALE INFIAMMABILE

(visione del Caravaggio)



Qualcuno sorregge un faro di luce calda e rossa

sui figuranti. Sullo sfondo fluttua una tela

e pende il velluto sopra il sangue freddo

che accende il panno di lino bianco incandescente.

Con disprezzo per le statue e attenzione per gli uomini,

nelle cripte segrete ho visto ardere la vita

il bronzo, il filtro, il palpito

venereo dei falli

e un enigma di fonti e frutti incisi.

Né invenzione né decoro. Nelle ore blu

ho frequentato le acide taverne del desiderio,

il lupanare infetto dove la carne afferma

la sua furia inoculata nelle bocche fruttate,

nelle lascive uve, negli inguini plebei.

La dura luce diventa fredda nel cielo di stagno

ed è un teatro di ombre, è la fine del palpito

che vacilla nelle lampade di una camera oscura

dove una tenda doma la sua geometria sferzante.

Perché nasce dal tempo e torna alla certezza

indigente di un corpo assoggettato in un lampo

e ci sono gesti contenuti, amari incipienti

e smorfie sorprese dal dolore mendico.

 A lezione dagli antichi

Mondadori


ISBN: 9788804721673
pagine 336
Prezzo: € 22,00
In vendita dal 23 giugno 2020



A ogni generazione spetta il compito di reinventare i classici. Ogni generazione deve assumersi la responsabilità di questa reinvenzione, cioè di attingere dal passato qualcosa che permetta di decifrare il presente,  che consenta di cogliere, sotto la superficie del flusso inarrestabile degli eventi e delle informazioni, ciò che ci riguarda direttamente, ci chiama in causa. Per farlo è necessario sottrarsi al brusio assordante della modernità e prestare ascolto a quanto hanno ancora da dirci gli antichi, i Greci in particolare.

Perché la tragedia greca, a duemilacinquecento anni di distanza, continua a parlarci con forza, ponendoci di fronte questioni ineludibili: dà voce al dolore e alla sofferenza, racconta i conflitti che lacerano le comunità e squassano i rapporti familiari, ha molto da dirci riguardo alle nostre origini, mette a nudo la precarietà della nostra esistenza. E soprattutto descrive la zona grigia in cui si dispiega l’agire degli uomini, costretti a vivere in un mondo dominato dall’ambiguità e dall’incertezza, dove la ragione spesso si rivela una guida insufficiente a dissolvere l’opacità che li avvolge e le parole non sono altro che un vuoto gioco di prestigio che occulta la verità. Una «terra di mezzo» sospesa tra libertà e necessità, fra autonomia e dipendenza, dove il passato sembra condizionare ogni decisione e il futuro assume le sembianze del fato, cioè di una realtà che pare al di fuori della nostra portata ma che tuttavia ha bisogno di noi per potersi realizzare. La tragedia, quindi, ci rivolge in maniera pressante una domanda cruciale: che cosa dobbiamo fare? Di fronte ai drammi del nostro presente – le guerre, le ingiustizie, la violenza, la povertà – come dobbiamo agire? Qual è il nostro grado di coinvolgimento? Possiamo davvero considerarci non responsabili? Fino a dove può spingersi la nostra inazione o la nostra indifferenza?

A lezione dagli antichi ci invita a trovare una risposta a questi interrogativi, una risposta che è essenzialmente «politica», perché attiene al nostro essere cittadini, parte attiva di una comunità che di fronte ai drammi degli altri non distoglie lo sguardo ma li riconosce come propri. Non è un caso, infatti, se la tragedia è nata nell’Atene democratica del V secolo a.C., se in essa «la città si fa teatro» e si mette in scena. Se vogliamo capire chi siamo, se vogliamo scoprire quale ruolo possiamo svolgere nel mondo, allora dobbiamo tornare al palcoscenico della vita che i tragici greci hanno allestito per noi.
       

SIMON CRITCHLEY è professore di filosofia presso la New School for Social Research di New York. Si è occupato di storia della filosofia, di teoria politica e di letteratura, dedicando, fra gli altri, saggi e articoli al pensiero di Derrida, Lévinas e Heidegger. Collabora con il «New York Times».


a cura di Maria Ida Biggi, 
Emanuele d'Angelo, Michele Girardi
Marsilio Editori


pp. 408, 1° ed. 2020
9788829705627
LIBRO 42,00 EURO 


 
In occasione delle celebrazioni del 2018, anno del centenario della morte di Arrigo Boito (1842-1918) e del centocinquantenario dell’opera Mefistofele (1868-2018), l’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia ha organizzato il convegno internazionale di studi «Ecco il mondo»: Arrigo Boito, il futuro nel passato e il passato nel futuro, che ha avuto luogo dal 13 al 15 novembre 2018, curato da Maria Ida Biggi, Emanuele d’Angelo e Michelev Girardi. L’appuntamento è stato realizzato nell’ambito delle attività afferenti al Comitato Nazionale per le celebrazioni boitiane, di cui l’Istituto è promotore insieme al Comune di Parma. L’Istituto ha inoltre collaborato con importanti associazioni veronesi (Verona Accademia per l’Opera, Fondo Peter Maag, Gaspari Foundation) per celebrare il grande artista insieme all’amico più fedele in un ulteriore convegno internazionale, Due veneti nel mondo: Faccio Boito, un «Amleto» di più, curato da Michele Girardi e Mario Tedeschi Turco. Questo volume ospita una scelta mirata delle relazioni date nei due eventi: non è quindi un volume di atti, ma si propone quale strumento aggiornato e indispensabile per marcare lo stato della ricerca e degli studi sulla poliedrica opera di Boito, artista e intellettuale tra i più influenti dell’Italia a cavallo tra Otto e Novecento.

Specialisti e studiosi dei diversi ambiti artistici che hanno caratterizzato la carriera del celebre intellettuale ne hanno riletto e rianalizzato la produzione di compositore, librettista e letterato d’avanguardia, l’attività di critico teatrale e musicale e quella di traduttore e regista teatrale, tornando su storici percorsi di ricerca e aprendone di nuovi. Si è inoltre dedicato un particolare approfondimento all’opera Mefistofele, pietra miliare del repertorio operistico italiano ottocentesco che, rappresentata per la prima volta nel 1868 al Teatro alla Scala di Milano, dove cadde nel fragore di un memorabile fiasco, è risorta in versione rivista a partire dalla ripresa bolognese del 1875, entrando così nel repertorio lirico mondiale.

Maometto

La vita e il messaggio di Muhammad il profeta dlel'Islam

Salerno Editrice




Formato: [ebook] 
Collana: Profili, 89
In libreria dal 14/05/2020
ISBN PDF: 978-88-6973-490-8
ISBN EPUB: 978-88-6973-505-9
Prezzo: €12,99



Studiare la biografia di Muhammad è essenziale per comprendere l’Islam, la cui professione di fede si basa sul binomio indissolubile dell’unicità di Dio e della veridicità della missione del suo Inviato.

Il punto di vista critico adottato nel volume, non usuale nella storiografia euro-americana, è quello di una analisi “dall’interno”, che privilegi la comprensione che i musulmani hanno della loro storia sacra.

Il libro si confronta innanzi tutto con le molteplici biografie del Profeta circolanti in Occidente, superando la vecchia orientalistica e aggiornando la nuova. Ambisce poi a delineare un profilo a tutto tondo del fondatore dell’Islam che tratteggi l’immagine di un uomo dalla personalità intrigante e sfaccettata: un mistico e un predicatore, certo, ma anche un uomo politico e un condottiero.

L’autore accede direttamente alle fonti primarie in arabo, a partire dal Corano per arrivare alle sire (biografie) medievali e – novità non indifferente – contemporanee.

Un capitolo finale è dedicato alla successione politica di Muhammad, un’epoca travagliata di lotte da cui emergeranno le due grandi ramificazioni dell’Islam, il sunnismo e lo sciismo.



MASSIMO CAMPANINI, è Accademico dell’Ambrosiana di Milano e insegna allo IUSS di Pavia e al S. Raffaele di Milano. Si occupa di studi coranici, di pensiero filosofico e politico medievale e moderno, e di storia contemporanea dei paesi arabi. Ha tradotto dall’arabo all’italiano opere di al-Ghazali, al-Farabi e Averroè. Recentemente ha ripubblicato Storia del Medio Oriente Contemporaneo (2019, sesta edizione) e la nuova edizione della Politica nell’Islam. Una interpretazione (2019).
Dio lo volle?
1204: la vera caduta di Costantinopoli
Salerno Editrice


Formato: [ebook] 
Quantità: 1
Collana: Aculei, 40
In libreria dal 21/05/2020
ISBN PDF: 978-88-6973-516-5
ISBN EPUB: 978-88-6973-517-2
Soggetti: Storia e cultura medievale. 
Prezzo: €11,99



Un attacco premeditato, il saccheggio selvaggio, massacri e una parziale distruzione della città sul Bosforo: la prima “caduta di Costantinopoli” non avvenne nel 1453 per mano ottomana, come generalmente si ritiene, ma nel 1204 ad opera dei latini, ossia veneziani e milites in gran parte francesi.

È la storia raccontata in questo volume: nota come quarta crociata, la spedizione promossa da Innocenzo III puntava ufficialmente alla riconquista di Gerusalemme, ma finí per prendere la Nuova Roma, greca e cristiana. La storiografia si è interrogata sull’episodio con esiti differenti. I bizantinisti hanno generalmente considerato la presa del 1204 come un atto deliberato ai danni di Costantinopoli, mentre gli studiosi della crociata sono stati piú cauti, fino a sposare il punto di vista dei protagonisti: come il cronista Goffredo di Villehardouin, il quale presenta una concatenazione di incidenti casuali che avrebbero condotto al sacco della città.

Alla luce delle numerose fonti dell’epoca, il libro restituisce un quadro preciso della vicenda e non esita a chiamare in causa volontà e comportamenti sinora occultati da una storiografia a tratti compiacente.

MARINA MONTESANO, insegna Storia medievale presso l’Università di Messina, fellow di Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies e membro del Comitato scientifico dell’International Society for Cultural History (ISCH). Si occupa di storia culturale e in particolare di stregoneria, di studi di genere e dei rapporti fra Occidente e Oriente. Con la Salerno Editrice ha pubblicato Caccia alle streghe (2012); Marco Polo (2014).

Le cento novelle contro la morte

Leggendo Boccaccio: epidemia, catarsi, amore

Salerno Editrice



Formato: [ebook] 
Collana: Piccoli saggi, 33
In libreria dal 29/03/2020
ISBN PDF: 978-88-6973-512-7
ISBN EPUB: 978-88-6973-513-4
Prezzo: €11,99




Le epidemie, come le carestie e le guerre, sono un ricorrente flagello del genere umano, eppure “non tutto il male viene per nuocere”. Sono antiche compagne e, per certi aspetti, anche e soprattutto efficaci maestre. Possono insegnarci il coraggio, la solidarietà, la prudenza, la prevenzione, l’igiene, e addirittura – paradossalmente – l’ottimismo. Possono stimolare l’arte, la musica, la fantasia. Perfino far nascere l’amore. Nella Firenze del 1348 un’“allegra brigata” di giovani, tre ragazzi e sette ragazze, decide, per sfuggire al contagio che sta devastando Firenze, di “far comunità” rifugiandosi in luoghi ameni e salubri; là, per non soccombere all’angoscia provocata dalla “moría”, viene stabilita tra loro la regola di raccontarsi a vicenda, in dieci diverse giornate, una novella ciascuno. Dieci protagonisti, dieci caratteri che emergono dalla narrazione, dieci forme di progressiva “catarsi”, di liberazione dalla paura. Una splendida psicoterapia di gruppo. Tale il messaggio del Decameron di Giovanni Boccaccio, che questo libro ripropone per i giorni nostri, secondo una particolare chiave di lettura. La lettura di un medievista per il dramma postmoderno iniziato nei primi mesi del 2020.



FRANCO CARDINI, Professore emerito di Storia medievale, ha insegnato nell’Università di Firenze, nell’Istituto Italiano di Scienze Umane (oggi confluito nella Scuola Normale Superiore) e presso L’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi; attualmente prosegue la sua attività d’insegnante e di ricercatore, incentrata anzitutto sui rapporti fra Europa cristiana e Islam. Nel volume Cristiani perseguitati e persecutori (Salerno Editrice 2011) ha posto con forza l’interrogativo circa il rapporto fra tolleranza e intolleranza, tra carità e persecuzione, all’interno della Chiesa cattolica.
Pasolini
Salerno Editrice




Casa editrice: 
Collana: Sestante, 45
Pagine: 332
Volumi: 1
Misure: 21 x 15 in brossura
In libreria dal 19/03/2020
ISBN: 978-88-6973-399-4
Soggetti: Letteratura italiana II. Otto e Novecento. Saggi
Prezzo: €22,00




«Aveva torto e non avevo ragione». Così Fortini in ricordo di un interlocutore la cui grandezza oggi ci si rivela ancor più controversa, ma la cui intelligenza delle questioni e il cui sguardo sulla realtà circostante continuano a offrire un punto di vista con cui è impossibile non confrontarsi.

In primo luogo perché, sperimentando soluzioni espressive talvolta addirittura estremistiche, Pasolini ha in fondo sempre cercato il conflitto con l’industria culturale, col senso comune. E poi perché, non rinunciando mai a presentarsi anzitutto come intellettuale civile, egli ha scommesso, senza mai derogarvi, sul valore squisitamente politico della letteratura, dell’arte, della conoscenza.

Scrutato in quest’ottica da Antonio Tricomi, il bulimico work in progress pasoliniano dimostra di trovare i propri capisaldi senz’altro nelle Ceneri di Gramsci e nella Meglio gioventù, nei corto e mediometraggi degli anni Sessanta, in testi teatrali come Orgia e Calderón, ma, ancor più, nei suoi esiti ultimi. In particolare, nei propri risvolti saggistici (dagli Scritti corsari alle Lettere luterane e a Descrizioni di descrizioni), in quell’autentico “incubo” cinematografico che è il Salò o le 120 giornate di Sodoma e, soprattutto, in Petrolio. È in tale, apocalittico «centone» che urge con ogni probabilità rinvenire il capolavoro almeno potenziale di Pasolini.

ANTONIO TRICOMI, si occupa da tempo di Pasolini, cui ha dedicato: Sull’opera mancata di Pasolini. Un autore irrisolto e il suo laboratorio (Roma 2005); Pasolini: gesto e maniera (Soveria Mannelli 2005); Scritti su Pasolini (Massa 2011). È uno dei curatori di Pasolini oggi. Fortuna internazionale e ricezione critica e Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi. Tra società delle lettere e solitudine (Venezia 2016 e 2018). Tra i suoi altri libri si ricordano almeno: La Repubblica delle Lettere. Generazioni, scrittori, società nell’Italia contemporanea (Macerata 2010), e Fotogrammi dal moderno. Glosse sul cinema e la letteratura (Torino 2015).
Per scrivere bene imparate a nuotare
Mondadori


A cura e con postfazione di Cristiana De Santis. Introduzione di Paolo Di Paolo

«Quello non lo insegno.» Così rispondeva Giuseppe Pontiggia a chi gli chiedeva come diventare scrittore. Non basta infatti avere l’attitudine, la volontà, l’ambizione. Come per il nuoto, si possono però ottenere buoni risultati impadronendosi della tecnica, osservando i modelli, allenandosi duramente.

Per scrivere «bene» (con stile) bisogna prima liberarsi da una serie di pregiudizi: che scrittori si nasca, che il talento e l’ispirazione contino più di un severo apprendistato, che un testo letterario (e in generale un testo efficace) nasca già perfetto anziché perfettibile.

Di questo era convinto Pontiggia quando, nel 1985, inaugurava la prima scuola di scrittura in Italia. Una scuola in cui si imparava innanzitutto a leggere. Leggere in senso forte, cominciando dai classici, in un «corpo a corpo» con il testo pensato per affinare la capacità di giudizio e scoprire insieme le potenzialità e i limiti delle proprie risorse espressive. Ma soprattutto per lasciarsi emozionare dalle parole, per esplorarne le stratificazioni, per imparare a usarle in modo responsabile.

Scrivere, per Pontiggia, non è trascrivere le proprie esperienze, sensazioni o memorie, ma andare incontro all’inatteso che sorprende, al nuovo che disorienta: pronti a tornare indietro, e a riscrivere se necessario, per dire nel modo migliore quanto si va scoprendo attraverso il linguaggio. Perché la scrittura è un viaggio che non si lascia pianificare, ma anche il risultato di un lavoro paziente, fatto di un rapporto concreto con il testo, in tutto simile a quello dell’artigiano all’opera nel suo laboratorio. Un laboratorio che Pontiggia ha allestito per anni durante i suoi incontri settimanali al Teatro Verdi di Milano, dialogando con un pubblico eterogeneo (studenti, professionisti, aspiranti scrittori).

Le sue lezioni, pubblicate a metà degli anni Novanta su due riviste («Wimbledon» e «Sette»), sono ora raccolte in un unico volume. Trentatré conversazioni in cui l’autore, in forma di intervista, affronta i molteplici aspetti della scrittura «espressiva», a cui si aggiungono altre quattro lezioni, «per addetti ai lavori ma non solo», in cui la riflessione sulla scrittura diventa essa stessa un alto esempio di scrittura saggistica, ricca di aforismi e battute fulminanti; dove il confronto con i classici, ancora una volta, ci introduce nella biblioteca e nell’officina dello scrittore, pronti a carpirne i segreti.

    
Genere: Poesie e Critica letteraria
ISBN: 9788804723561
204 pagine
Prezzo: € 19,00
Cartaceo
In vendita dal 25 febbraio 2020

Recensioni

«L'attenzione alle parole, alla loro capacità di rivestire esperienze nuove rivelando aspetti sconosciuti e significati imprevedibili è il punto su cui battono queste lezioni. La differenza tra artificio e tecnica è fondamentale. Come suggerisce il titolo del volume, scrivere non è affatto spontaneo, al pari di nuotare. Chi non ha imparato l'arte del nuoto, scrive Pontiggia, compie una serie di movimenti disordinati che provocano l'annegamento. «Allo stesso modo il linguaggio disordinato si ritorce su chi non sa rielaborarlo».

Cristina Taglietti, La Lettura del Corriere della Sera

«Pontiggia pensa a una "lettura profonda" con la comprensione del contenuto e insieme gli aspetti formali del testo. Leggendo meglio, dice bene Paolo di Paolo, si può sperare di fare passi più sicuri verso la scrittura. Ma quanto diventa difficile oggi, nel mondo digitale che rende oscillanti e volatili tante forme di lettura e ne trasforma altre, incessantemente».

Renato Minore, Il Messaggero



Giuseppe Pontiggia (1934-2003) ha esordito nella redazione della rivista «il Verri» che ha pubblicato, nel 1959, il romanzo breve La morte in banca. Consulente editoriale, editorialista, scrittore, dopo il romanzo sperimentale L'arte della fuga (1968), si è affermato con Il giocatore invisibile (1978), cui è seguito Il raggio d'ombra (1983). A raccolte di saggi di brillante scrittura - Il giardino delle Esperidi (1984), Le sabbie immobili (1991), L'isola volante (1996), I contemporanei del futuro (1998), Prima persona (2002) - ha alternato successi nella narrativa: La grande sera (1989, premio Strega), Vite di uomini non illustri (1993, premio SuperFlaiano), Nati due volte (2000, premio SuperCampiello e Pen Club).



A lezione di scrittura con Giuseppe Pontiggia


Quanto all’annoso quesito, se scrittori si nasce o si diventa, risponderò che linguisticamente è privo di senso. Non ho mai conosciuto nessuno che sia «nato» scrittore. Ho conosciuto alcuni che lo sono diventati dopo un tirocinio molto duro, fatto di tentativi, scacchi, fallimenti, provvisorie esultanze e ricorrenti depressioni. Preziosi anche i collaudi da parte di lettori attendibili, cioè severi e impazienti, consci che stiamo sottraendo loro il bene più prezioso, il tempo, e che stiamo chiedendo la risposta più difficile, quella sincera.


Scrivere è come nuotare:
parola di Giuseppe Pontiggia


Come si diventa scrittori?

Giuseppe Pontiggia, che scrittore lo era, aveva diverse risposte per questa domanda.

Ma una è che sicuramente nessuno lo è dalla nascita. Scrivere è un esercizio che si estende nel tempo, spesso nell'arco di una vita intera, e che è fatto di costante ricerca, paziente affinamento delle proprie capacità, ascolto, lettura del mondo.

Fine intellettuale, illuminista della parola, Pontiggia - a cui si deve l'apertura della prima scuola di scrittura italiana nel 1985 - scrisse romanzi, articoli e saggi, alcuni dei quali dedicati proprio alla scrittura. In questi interventi affrontava il tema con l'approccio del ricercatore e dell'esploratore, perché lui stesso, come scrittore, si considerava sempre in viaggio.

Ed è un viaggio di cui si conosce l'inizio, ma mai la meta ultima.

Le sue lezioni di scrittura, pubblicate a metà degli anni Novanta su due riviste (Wimbledon e Sette), vengono ora raccolte in un unico volume dal titolo Per scrivere bene imparate a nuotare a cura di Cristiana De Santis, docente di Linguistica italiana all'Università di Bologna.
Trentasette lezioni sul senso di scrivere e leggere


Nelle lezioni Giuseppe Pontiggia spiega la propria visione del linguaggio come realtà plastica, una materia che si impara a maneggiare nel tempo, responsabilmente.

Scrivere è prima di tutto consapevolezza dei propri strumenti: come avviene per un artigiano che lavora nel suo laboratorio, si devono conoscere i ferri del mestiere e si deve imparare come usarli. Senza questa coscienza ci si trova come colui che non sa nuotare e che muove braccia e gambe in modo convulso e inconsapevole, non riuscendo a stare a galla.

Dal libro emergono tutte le anime di Pontiggia: lo scrittore, il docente, il redattore, il bibliomane, il conversatore, l'uomo abituato a farsi domande.

Spesso e volentieri, intervistato, risponde "Non lo so" ma poi aggiunge "Non insegno regole, scelgo esempi". Come fanno i veri maestri.

Pontiggia ci insegna, con la teoria letteraria e con il suo esempio diretto, che lo scrittore è la somma di infinite componenti, che per diventarlo davvero dovrà liberarsi dai giudizi e dai pregiudizi, dovrà sfidare le convenzioni e sviluppare un occhio tutto suo, più limpido e chiaro. Dovrà avere il cauto coraggio di chi vede gli ostacoli in lontananza, ma li affronta con coscienza di sé e del mondo. Dovrà liberarsi dalle illusioni senza perdere la fantasia e passare probabilmente per tentativi, scacchi e fallimenti. Ma è solo attraverso la scrittura che vivrà una vita più piena.


Linguaggio, scrittura e lettura si riflettono a vicenda in una continua dialettica e le lezioni sono un utile strumento per capire cosa leggesse Pontiggia.

Un indizio si era già ritrovato in opere come L'isola volante, una raccolta di "Appunti di viaggio”, di divagazioni e perlustrazioni nell’universo dei massimi scrittori del Novecento.

Per usare le parole di Paolo Di Paolo, che firma l'introduzione alla nuova raccolta: 

Piccole dosi di Proust e di Kraus, domande di Rilke e risposte di Braque, pillole di Seneca e di Manzoni, aforismi di La Rochefoucauld e intuizioni di Swift o di Virginia Woolf. Sposta avanti e indietro il cursore sulla linea del tempo, Kafka e Dante si incontrano e si danno la mano, convinti entrambi – come Pontiggia – che scrittori non si nasce.

Il libro condensa una doppia riflessione sull'atto dello scrivere e sui suoi significati.
Tra le righe si leggono anche i richiami alla storia personale e alla produzione di Giuseppe Pontiggia:

- l'amore per i classici, di cui si nutre tutto il suo pensiero, raccontato negli interventi di I classici in prima persona;

- la tensione al racconto della vita, memorabile nella sua ordinarietà, che si ritrova in Vite di uomini non illustri; 

- la sapiente arte di costruire trame che ci aiutino a trovare il senso dell'essere umani come ne L'arte della fuga; 

- la disincantata ironia di un uomo che ha imparato a leggere cosa si cela sotto le cose del mondo.
La stessa ironia brillante de Le sabbie immobili, libro che raccoglie detti, aforismi, definizioni, brevissimi che offrono un ritratto feroce e graffiante della società italiana di fine Novecento. 
Purgatorio
Mondadori


Commento di Franco Nembrini
Illustrazioni di Gabriele Dell’Otto 
Con la splendida introduzione di Alessandro D’Avenia.

Ancora una volta, Franco Nembrini trova le parole più semplici e toccanti per avvicinarci al testo di Dante e farci sentire quanto esso abbia a che fare con la nostra quotidianità. “Il Purgatorio” racconta Nembrini «è la cantica del cambiamento. Si comincia in un modo e si finisce in un altro. Come nella vita di ogni giorno. Dante ci fa capire che il problema non è cadere, ma rialzarsi, afferrare la mano che ogni volta ci viene offerta».

Ad accompagnare il testo di Dante e l’eccezionale commento di Nembrini ci sono le illustrazioni di Gabriele Dell’Otto, che compie un’impresa titanica e trova una cifra unica ed emozionante nel tratto e nelle scelte cromatiche, contribuendo a rendere concreta per i lettori l’esperienza di Dante.

  
Genere: Narrativa Contemporanea
ISBN: 9788804709671
800 pagine
Prezzo: € 28,00
Cartaceo
In vendita dal 12 maggio 2020



Franco Nembrini nasce a Trescore Balneario (BG) nel 1955. Durante gli studi universitari inizia a insegnare religione, nel 1982 si laurea e diventa insegnante di letteratura nelle scuole superiori. Dopo aver lasciato La Traccia, la scuola partitaria che ha fondato insieme ad un gruppo di genitori nel 1984, oggi gira il mondo a parlare a chiunque lo inviti di Dante, educazione e delle altre sue passioni letterarie. Tutti i suoi libri (Dante poeta del desiderio, 3 voll. Itacalibri 2011-13; Di padre in figlio, Ares 2011, Miguel Manara, Centocanti 2014; In cammino con Dante, Garzanti 2017) hanno origine da questi mille incontri, e negli ultimi anni dalla fortunata collaborazione con Tv2000.

Gabriele Dell'Otto (Roma 1973) è considerato uno dei più importanti disegnatori di fumetti del mondo. Stabile la sua collaborazione con Marvel e DC, ha disegnato tavole e copertine con tutti i più noti supereroi, da Batman a Spiderman. Al Lucca Comics ogni anno migliaia di fan si affollano al suo stand per avere una sua tavola autografata.



Dopo l'Inferno, arriva in libreria il Purgatorio: la seconda cantica della Commedia di Dante commentata da Franco Nembrini e illustrata da Gabriele Dell'Otto



"Ridare Dante alle persone, così come Dante aveva pensato di arrivare alle persone": così Alessandro D'Avenia racconta Purgatorio, il secondo volume del grandioso progetto editoriale della Commedia commentata da Franco Nembrini e illustrata da Gabriele Dell'Otto, mentre stringe il libro fresco di stampa tra le mani.

D'Avenia che, dopo quella dell'Inferno, ha firmato anche l'introduzione del nuovo Purgatorio, richiama così subito l'attenzione su un punto fondamentale di quest'opera: la sua anima corale.

La parola di Dante Alighieri rivive in questi volumi grazie allo straordinario lavoro di professionisti che gli hanno dato una nuova espressione, ed è viva anche nell'anima di tutti i lettori, attraversando il tempo senza mai invecchiare e senza perdere intensità.

Nell'anno in cui l'Italia ha festeggiato il suo primo DanteDì, la giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, riabbracciamo così il suo canto universale perché "Dante è l'unità del Paese, Dante è la lingua italiana, Dante è l'idea stessa di Italia”, per usare le parole del Ministro Dario Franceschini.
Un personaggio dai mille volti: filosofo, uomo di partito e di corte, padre di famiglia, poeta che è stato capace di raccontarci l'animo umano. 


Un progetto che è anche un sogno, un viaggio tra parola e immagine


Franco Nembrini da anni tiene per l’Italia un ciclo di lezioni su Dante e la Commedia. Alla fine di uno di questi incontri, a Roma, Nembrini è stato avvicinato da un ragazzo che gli ha confessato che le sue parole gli avevano cambiato la vita. Questo ragazzo era Gabriele Dell’Otto, uno dei più importanti disegnatori del mondo, artista di punta delle due grandi casi editrici americane di supereroi, Marvel e DC. È nato così il loro progetto - un po' folle - della Divina Commedia che è anche un sogno: rivestire l'opera di Dante per restituirla ai lettori di ogni età. 

Ogni canto dei loro volumi ha un’introduzione alla lettura scritta da Nembrini, il testo originale di Dante con, a fronte, una parafrasi in italiano contemporaneo, e una riproduzione delle tavole di Gabriele Dell’Otto che illustrano il contenuto del canto.

Nembrini trova le parole più semplici e toccanti per avvicinarci al testo di Dante e farci sentire quanto esso abbia a che fare con la nostra quotidianità.

Gabriele Dell’Otto trova una cifra unica ed emozionante nel tratto e nelle scelte cromatiche, contribuendo a rendere concreta, quasi materica, per i lettori l’esperienza del viaggio dantesco. 

Intensa la progressione dalla prima alla seconda cantica: dall’Inferno, quella della fissità assoluta e del male reso eterno, al Purgatorio, la cantica del movimento e della vita. 
Ulisse
La Nave di Teseo

Traduzione e note di Mario Biondi



«È il 16 giugno del 1904, Stephen Dedalus e Leopold Bloom vivono entrambi a Dublino. Diversi dalla gente che li circonda, si distinguono perché sono, ciascuno secondo le proprie capacità, due avventurieri dell’intelletto – Dedalus, il poeta e filosofo, capace di belle immagini e astruse speculazioni e Bloom, procacciatore di pubblicità, dai mezzi più rudimentali. Alla sera, Bloom e Dedalus finiscono nella stessa lite tra ubriachi e Dedalus viene messo ko da un soldato inglese. Si chiarisce così il loro rapporto. Bloom pensa malinconicamente che Stephen rappresenti quello che suo figlio avrebbe dovuto essere e Stephen, che disprezza il proprio genitore – un amabile perdigiorno –, trova una sorta di padre spirituale in questo simpatico ebreo, che, per quanto mediocre, possiede almeno la dignità dell’intelligenza. Non sono forse, in virtù del fatto che pensano e immaginano, due fuorilegge nel loro mondo? Raccontata nel modo più diretto possibile, questa è la storia dell’Ulisse».

Edmund Wilson, New Republic, 5 luglio 1922